Spumante o frizzante? All’origine di uno dei vini più amati
L’Italia è il primo paese al mondo per la produzione di vino, conosciuta per l’eccelsa qualità dei suoi prodotti, tra i quali spiccano gli inconfondibili spumanti.
La crescita del settore è da anni trainata dal Prosecco, una dipendenza certamente positiva per i risultati economici conseguiti, ma che al contempo rivela una scarsa conoscenza della reale offerta di vini spumanti, diffusa in tutte le regioni della penisola. Tale percezione è confermata dalla tendenza inglese di classificare tutte le bollicine del nostro territorio come “Sparkling Wine” a prescindere dal metodo di produzione e dalla loro identità di vini spumanti o frizzanti, una differenza spesso sconosciuta agli stessi consumatori italiani.
Cosa distingue, quindi, un vino spumante da un vino frizzante?
Tale differenza viene generalmente sintetizzata in termini di sovrapressione, compresa tra 1 e 2,5 bar per i vini frizzanti e non inferiore a 3 bar per i vini spumanti. In realtà il mondo delle bollicine è estremamente più ampio e complesso caratterizzato da diversi metodi di produzione e dall’impiego di numerose varietà di uva.
In primo luogo, comunque, il consumatore può distinguere i due tipi di bollicine osservando gli elementi del packaging. Un vino spumante può essere riconosciuto dall’utilizzo di bottiglie in vetro spesse e pesanti, ma soprattutto dall’impiego del tappo a fungo che consente di contenere la pressione della bottiglia grazie al supporto della gabbietta di metallo. D’altra parte i vini frizzanti, grazie alla minore sovrapressione, possono essere contenuti in bottiglie caratterizzate da svariati pesi e forme, oltre ad essere chiuse con tappi di sughero, a corona o a vite, elementi che li accomunano ai vini fermi.
I vini frizzanti, detti anche vivaci, sono il risultato di una produzione breve, in cui la sosta sui lieviti dura dai 15 ai 20 giorni, ottenuta seguendo varie tecniche tra cui spicca il Metodo Charmat. Il risultato di questo processo produttivo è un vino caratterizzato da un titolo alcolometrico effettivo contenuto e non inferiore a 7% e da bollicine grossolane con una persistenza più ridotta rispetto agli spumanti.
A differenza dei vini frizzanti nel momento in cui si stappa uno spumante la caduta di pressione crea l’effetto dell’effervescenza, un forte sviluppo di bollicine che comporta la formazione di una spuma più o meno persistente, sinonimo di qualità. Il vino spumante è, infatti, il frutto di un complesso processo di spumantizzazione che si compone di due fermentazioni e di un lungo invecchiamento in cantina. La durata del processo varia in funzione della categoria di spumante prodotto e dal metodo adottato.
A tal proposito in Italia si distinguono principalmente tre metodi di spumantizzazione: il Metodo Classico, il Metodo Martinotti o Charmat, e il Metodo Ancestrale o Tradizionale sui lieviti.
Metodo Classico
Il Metodo Classico nasce in Francia nella regione nota come Champagne dove la tradizione vuole che alla fine del 1600 l’abate Pierre Pérignon abbia scoperto il metodo della rifermentazione in bottiglia durante un pellegrinaggio a Limoux. Si tratta di un metodo che assume nomi differenti in base all’area di produzione pur indicando la stessa tecnica di vinificazione. Nello specifico nella zona della Champagne è detto “Metodo Champenoise”, a differenza della restante parte della Francia in cui è chiamato “Metodo Crémant” e dell’Italia in cui è denominato “Metodo Classico”.
Si tratta in ogni caso di un sistema di spumantizzazione caratterizzato dalla rifermentazione in bottiglia in cui lo spumante riposa per anni a contatto con i lieviti affinché sviluppi gli aromi migliori e perfezioni il suo raffinato equilibrio. A livello organolettico questo comporta una netta caratterizzazione per lo più olfattiva con decisi profumi che vanno dalla crosta di pane, al croissant sino alle note vanigliate. In Italia questo metodo è diffuso per lo più in Franciacorta, seguita dal Piemonte con l’Alta Langa, dal Trentino-Alto Adige dove spicca il Trento Doc, e dalla Lombardia con l’Oltrepò Pavese.
Metodo Martinotti
Il Metodo Martinotti, anche detto Metodo Charmat nasce nel 1895 per merito di Federico Martinotti, direttore della Regia Stazione Enologica di Asti. Martinotti ideò un metodo caratterizzato da costi più contenuti e tempi di produzione molto più brevi grazie all’utilizzo di grandi tini in acciaio, brevettati solo nel 1910 da Eugène Charmat.
Questo metodo implica, infatti, la fermentazione in massa del vino base in autoclave, un fermentatore in acciaio inox a temperatura e pressione controllata. Rapida ed efficace tale tecnica permette di ottenere vini beverini che mantengono i caratteri fruttati e aromatici delle uve impiegate, nei quali la freschezza è più ricercata della persistenza. In Italia i vini spumanti e frizzanti più famosi prodotti con il metodo Charmat sono il Prosecco, il Moscato d’Asti, il Bracchetto e il Lambrusco.
Metodo Ancestrale
Il Metodo Ancestrale o Tradizionale rappresenta la più antica tra le varie tecniche di vinificazione oggi in uso. Si tratta di un metodo di produzione in cui il vino viene lasciato rifermentare naturalmente in bottiglia senza l’aggiunta di alcuna soluzione, carattere distintivo rispetto al Metodo Classico.
Il risultato è un vino torbido e velato con sentori di crosta di pane accentuati dalla maggiore presenza dei lieviti, spesso denominato per queste caratteristiche “vino spumante sur lies” o “col fondo”.
Tale metodo di produzione è adottato in tutta Italia dall’area di Conegliano-Valdobbiadene sino in Emilia con la produzione di Trebbiano e di Lambruschi. Generalmente i produttori suggeriscono di muovere la bottiglia prima del consumo in modo da riattivare i lieviti disciolti e godere a pieno dei sentori del vino.
Si conclude, quindi, che le bollicine prodotte in tutta la penisola italiana costituiscono un mondo magico, ricco ed estremamente variegato che vale la pena scoprire, valorizzare e tutelare nel migliore dei modi.
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