È vero che la farina 00 fa male? E quale farina scegliere tra le decine di pacchetti sullo scaffale del supermercato? Scopriamo i segreti di questo ingrediente che ha scandito la storia dell’alimentazione dell’uomo fin dal Neolitico.
Differenze tra farine: abburattamento e raffinazione
Il tasso di abburattamento (o resa di macinazione) è una prima e importante peculiarità che differenzia le farine. Definisce la quantità di prodotto in kg ottenuto macinando 100 kg di grano: le farine più fini e bianche (che corrispondono al tipo 00 e 0) hanno una resa bassa pari al 70 – 75 % e un minor contenuto in crusca; a un maggior tasso di abburattamento (farine di tipo 1, 2 e integrale) corrisponde una resa più elevata.
Strettamente legato al tasso di abburattamento delle farine di grano è il contenuto in ceneri: nient’altro che sali minerali, e la loro percentuale nella farina ne determina la raffinatezza. Una farina più raffinata ha un contenuto in ceneri più basso di una farina integrale, che contiene più parti della crusca e quindi più sali minerali. La dicitura “ceneri” proviene dalla metodica di analisi utilizzata per la loro conta a fini di classificazione merceologica. La quantità di sali minerali viene infatti determinata sottoponendo la farina a carbonizzazione, per almeno sei ore, a una temperatura di circa 550 – 600 gradi centigradi: ciò che rimane dello sfarinato sono proprio le cosiddette ceneri!
A lungo ed erroneamente demonizzate come nemiche di una dieta cosiddetta sana, le farine raffinate sono in realtà un alimento che merita il rispetto dei consumatori tanto per il loro valore nutrizionale quanto per le loro proprietà in cucina. Come ogni ingrediente, prima di essere demonizzato (senza ragione), deve essere compreso e conosciuto: le farine di grano – tutte – costituiscono in prima istanza una fonte di carboidrati; le minime differenze tra una maggiore o minore raffinazione riguardano, come detto, la percentuale di micronutrienti come vitamine e sali minerali e il contenuto in fibre.
Come e quale farina scegliere?
La scelta tra una farina più o meno raffinata, dunque, dovrebbe dipendere dalle proprie necessità fisiologiche: per esempio quella di consumare un pasto più o meno energetico in termini di calorie, o a breve o lento assorbimento. In quest’ultimo caso, una farina integrale rilascia energia più lentamente, perché la maggiore presenza in fibre determina un rallentamento del processo digestivo. E ancora, scegliere una farina piuttosto che un’altra dipende dalla preparazione e dai risultati che si intendono ottenere sul prodotto finito e, non da meno, dal gusto personale.
In cucina, ciò che differenzia davvero le farine sono infatti le proprietà reologiche: tenacia, estensibilità ed elasticità che, insieme al caratteristico aroma, rendono una farina più o meno adatta a una ricetta. Dalla più raffinata alla meno raffinata avremo:
- farina 00: la classica farina bianca; grazie alla sua consistenza impalpabile è perfetta per preparare i dolci della pasticceria tradizionale come pasta frolla, pan di Spagna, torte, crêpe… si usa anche nella preparazione di salse come la besciamella, nelle fritture e in alcuni piatti salati come addensante;
- farina 0: meno raffinata della precedente (contiene dunque una percentuale di ceneri leggermente più alta), si presenta sempre bianca e il suo utilizzo è pressoché analogo a quello della farina doppio zero;
- farina 1: si tratta di uno sfarinato veramente interessante che infatti sta trovando sempre più apprezzamento soprattutto nel settore della panificazione. Grazie alla sua texture leggermente grezza e alla minima presenza di crusca, conferisce un gusto pieno e saporito e una piacevole resa cromatica. Da provare nell’impasto di pizze, focacce e pane, oppure per biscotti o grissini!
- farina 2: anche detta semi-integrale, è perfetta per tutte quelle preparazioni in cui la farina integrale risulterebbe troppo “pesante” o invasiva al gusto. Come la tipo 1, trova ampio impiego nell’arte bianca e nelle ricette di dolci più rustici;
- farina integrale: la più grezza della famiglia, ha un aroma intenso che si abbina perfettamente ai piatti a base di verdure – per esempio nella pasta fresca – e di frutta (come vedete una crostata integrale con fichi e mascarpone?); va dosata con cura nei lievitati per evitare che l’importante presenza di crusca rallenti la lievitazione. Con lei, spazio alla fantasia perché il suo gusto avvolgente è capace di sorprendere!
Ma non finisce qui! Dal grano vengono prodotti altri due sfarinati di largo uso:
- semola di grano duro: una farina granulare prodotta a partire dalla varietà Triticum durum, dal colore paglierino e dal leggero profumo tostato. Viene utilizzata quasi esclusivamente nella produzione di pasta secca e prodotti da forno;
- farina manitoba: di grano tenero originario della provincia canadese del Manitoba, è la farina “forte” per eccellenza, ossia ricca di proteine (W è il coefficiente che ne indica la quantità e deve essere > 350), presenti in percentuale del 13-15%. È la farina perfetta per i grandi lievitati da forno, perché l’elevata frazione proteica garantisce tenacia ed elasticità all’impasto. Per una focaccia da leccarsi i baffi, provate a unire metà dose di manitoba e metà tipo 1, successo assicurato!
Doppio zero, di semola, integrale… ora che ne conosci tutti i segreti e gli utilizzi, cosa aspetti a sperimentare ai fornelli? Sporcarsi le mani con – la giusta – farina sarà un gustoso gioco da ragazzi!
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