La pasta è senza dubbio uno degli alimenti più conosciuti e apprezzati al mondo, eterno simbolo di italianità, realizzata nei più disparati formati e misure.
Preferita dai consumatori italiani, la pasta secca (più precisamente “pasta di semola di grano duro” e “pasta di semolato di grano duro”) può essere ottenuta, secondo la legislazione italiana, rispettivamente ed esclusivamente con semola o semolati di grano duro e acqua.
Ma quanto incide la materia prima sulla sua qualità della pasta secca?
È stato verificato che, più che essere determinante il luogo di provenienza, la scelta deve avvenire sulla base delle proprietà intrinseche del grano duro.
Una pasta prodotta con grano italiano, da solo, non è sufficiente a garantire che il prodotto che stiamo acquistando sia di qualità superiore. A concorrere per la definizione della sua qualità, sono la selezione di varietà di frumento duro con alti standard qualitativi dal punto di vista:
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agronomico (produzioni ingenti, resistenza allo stress biotico e abiotico);
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igienico-sanitario (assenza di residui, basso contenuto in contaminanti);
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molitorio (elevate rese in semola, contenuto in ceneri);
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tecnologico (composizione e contenuto in proteine, qualità del glutine, indice di giallo).
L’attitudine alla fabbricazione della pasta, o meglio la qualità pastificatoria, è prevalentemente legata alla qualità ed alla quantità delle proteine di riserva contenute nella semola (gliadina e glutenina). Tali proteine, una volta idratate in fase di impastamento, danno origine al glutine (maglia glutinica), che intrappola i granuli di amido. Saranno l’alto contenuto proteico e una buona qualità del glutine a determinare la formazione di impasti di elevata qualità reologica (che definisce la deformazione e la viscosità di un impasto), necessari per ottenere una buona tenuta in cottura, evitando che la pasta diventi collosa e scotta.
Come riconoscere il valore di una pasta secca al momento dell’acquisto?
La normativa relativa all’indicazione del luogo di produzione e di molitura, entrata in vigore nel 2018, ha riportato l’attenzione sulla provenienza del grano, considerato un parametro essenziale per definire la sicurezza alimentare del prodotto finito. L’introduzione di tale obbligo si deve alla cattiva reputazione di cui gode il grano proveniente dal Canada, primo fornitore di grano duro per il nostro Paese (essendo questo non autosufficiente). La causa è l’impiego del glifosato, erbicida fortemente discusso.
Oltre all’indicazione di origine in etichetta, resta difficile discriminare i vari prodotti al momento dell’acquisto, se non in base al prezzo o alla marca. Fattori, questi, che non costituiscono necessariamente una garanzia di qualità superiore della pasta acquistata.
Come non è stato dimostrato che si debbano necessariamente preferire ai “grani moderni” i “grani antichi” (es. Senatore Cappelli), che i consumatori spesso percepiscono come migliori.
L’attuale legislazione impone il rispetto di alcuni requisiti minimi per quanto riguarda le materie prime, ma non interviene sulle scelte di tipo tecnologico da parte del produttore, né prevede vincoli in materia di confezionamento ed etichettatura. In particolare, il contenuto minimo di proteine del grano duro deve essere di almeno il 10,50%; quando supera il 13,5%, è indice di un eccellente valore nutrizionale.
La tabella nutrizionale si rivela un importante supporto per la valutazione del tenore proteico, che abbiamo detto essere il principale fattore a dettare la qualità. Anche altre specificazioni riportate sulla confezione, come le indicazioni legate al processo tecnologico di trafilatura ed essiccazione, possono essere determinanti.
In conclusione, pertanto, il profilo qualitativo è certamente determinato dalla scelta della materia prima ma, a fare la differenza, sono soprattutto le tecnologie di produzione.