Gli imballaggi alimentari (o packaging) non sono un’invenzione umana.
A pensarci bene già diverse piante hanno sviluppato nel tempo strategie per proteggere il prezioso contenuto di semi e frutti. Esempi su tutti sono i baccelli di piselli e fave o la buccia della banana (in realtà in qualche modo derivanti dalla mano umana grazie alla selezione artificiale dovuta all’avvento dell’agricoltura).
In altre parole, in natura esistono già soluzioni simili al packaging che vengono utilizzate per proteggere il cibo dal deperimento, in combinazione con la refrigerazione. Di conseguenza, con un approccio quasi biomimetico, possiamo copiare materiali o strategie che troviamo intorno a noi, in modo da sviluppare packaging definiti bio-based.
Cosa si intende per packaging bio-based?
Con il termine “packaging bio-based” si fa riferimento al fatto che i materiali utilizzati per creare un oggetto (in questo caso l’imballaggio) derivano da biomasse, ovvero materia organica, per esempio vegetale, con origine rinnovabile. La parola “rinnovabile” è centrale in quanto implica che o tali risorse sono potenzialmente infinite – come nel caso della luce del sole o del vento – o si rigenerano velocemente, compatibilmente con il loro consumo.
Le biomasse di cui tratteremo in questo articolo si inseriscono, dunque, tra le risorse rigenerabili velocemente, soprattutto se paragonate a ciò che vogliono sostituire, ovvero le risorse fossili come il petrolio – utilizzato per la produzione di plastica – il quale impiega milioni di anni a rigenerarsi.
La plastica: un nemico necessario?
Sappiamo bene che la maggior parte degli imballaggi alimentari coinvolge l’uso della plastica di origine petrolchimica. Certo è che, a differenza di ciò che si crede, la tanto temuta plastica non è un nemico da sconfiggere a tutti i costi, in quanto materiale straordinario che – con un basso costo – ci permette di aumentare la shelf life del cibo (conservabilità), rendendolo anche più sicuro.
I problemi che originano dalla plastica sono principalmente due:
- la sua origine non rinnovabile;
- il suo scorretto smaltimento. Infatti, la plastica, se non differenziata e riciclata correttamente, rischia di accumularsi nelle discariche o – peggio – nell’ambiente, dove resterà per lungo tempo a causa della sua scarsissima biodegradabilità.
Prima di proseguire, è importante sottolineare che esiste una differenza tra “biodegradabile” e “compostabile”.
Il primo, infatti, definisce la capacità di un materiale di decomporsi in CO2, biomassa ed acqua in condizioni naturali. Il secondo, invece, indica un materiale che può decomporsi allo stesso modo ma solamente in condizioni controllate (ad es. compostiera). Inoltre, deve essere certificato per entrambe le caratteristiche.
Le soluzioni bio-based
1. La carta ed i suoi derivati
Le soluzioni bio-based esistono e sono in realtà già intorno a noi: basti pensare alla carta ed ai suoi derivati, utilizzati come affidabili imballaggi in contesti dalla pasta alla pizza, passando anche per il tetrapak della confezione del latte, di cui è uno dei componenti.
La carta, costituita da cellulosa, viene ottenuta da biomasse vegetali – quali gli alberi – per poi essere processata in vari modi al fine di ottenere materiali come il cartone o il cellophane. Sebbene la carta sia un materiale duttile e riciclabile, presenta delle limitazioni sia in termini di impiego che di sostenibilità del processo di produzione. È proprio per tale ragione che entrano in gioco altri materiali, come le bioplastiche: non vuole essere una gara a chi sia “meglio” o “peggio”, ma è utile sicuramente avere a disposizione varie opzioni da impiegare in diversi contesti.
2. Le bioplastiche
Le bioplastiche vengono definite come materiali plastici:
- di origine rinnovabile
- o biodegradabili
- o con entrambe le caratteristiche.
Per gli scopi di tale approfondimento, ci focalizzeremo solo sulle bioplastiche bio-based, fermo restando che anche alcune plastiche petrolchimiche possono essere biodegradabili.
Tra le bioplastiche presenti sul mercato, alcune sono direttamente costituite da materiale vegetale processato in modo che abbia caratteristiche plastiche. Esempi comuni sono i sacchetti per l’ortofrutta o quelli disponibili al supermercato quando facciamo la spesa, costituiti per la maggior parte da amido di mais.
In altri casi invece la biomassa viene trasformata in qualcosa di chimicamente molto diverso, grazie all’azione di microrganismi capaci di mangiare zuccheri e proteine e di produrre molecole di nostro interesse. L’acido lattico ad esempio, tipicamente sintetizzato dai batteri lattici che servono a fare lo yogurt, può essere utilizzato per la produzione della bioplastica chiamata PLA. Il PLA è un materiale in forte ascesa, come d’altronde tutto il settore delle bioplastiche, soprattutto per la possibilità di creare miscele con altri materiali. Le caratteristiche di resistenza e stabilità del PLA lo rendono adatto per molti usi, compresa la produzione di fibre o imballaggi vari, soprattutto per il settore alimentare, facilitandone la diffusione nel mercato. Materiali come il PLA possono anche essere funzionalizzati, ovvero modificati in modo da aggiungere altre molecole che facilitino la conservazione del cibo.
3. Cellulosa ottenuta da batteri
Tornando alla cellulosa, è possibile ottenerla anche senza abbattere piante, in quanto anche in questo caso i microrganismi ci possono essere alleati. Alcuni batteri sono infatti capaci di produrre la cellulosa, che anzi risulta migliore in termini di performance rispetto a quella vegetale, in quanto, al contrario di quest’ultima, molto più pura. Il legno infatti contiene altre componenti che devono essere eliminate, ed è proprio questo elemento ad aumentare l’impatto ambientale dell’industria della carta. Il mondo del cibo non è solo “cliente” finale della plastica bio-based, ma anche fonte: in questo caso i batteri produttori di cellulosa derivano infatti dal disco utilizzato per la produzione del kombucha, bevanda asiatica fatta da tè fermentato.
Chiudiamo quindi il cerchio sia in termini di argomenti che di produzione di questi biomateriali, che possibilmente torneranno alla terra per la produzione di nuova biomassa e l’apertura di un nuovo ciclo. Il tutto all’interno del contesto della bioeconomia e dell’economia circolare, che sempre più vede il packaging alimentare protagonista.
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