Tutti pazzi per il lievito!
Durante la primissima fase dell’emergenza sanitaria da Covid-19, la permanenza obbligata tra le mura di casa ha sortito una vera e propria corsa per l’accaparramento di alcuni generi alimentari.
Ciò che ha più sorpreso, è stato proprio l’incredibile boom di vendite di lievito di birra, che ha letteralmente esaurito le scorte di molti supermercati. Complice la situazione, infatti, in molti hanno riscoperto la passione per la cucina, e alcuni si sono improvvisati abili panificatori.
Prima di iniziare a spiegare la differenza tra i vari tipi di lieviti, però, è opportuno fare un passo indietro.
Cosa sono i lieviti?
I lieviti sono funghi microscopici unicellulari di grande interesse nel settore agroalimentare, frequenti da trovare sulla superficie di frutti e vegetali. Alcuni generi e specie sono molto importanti come agenti fermentativi che portano alla produzione, tra le altre interessanti possibilità, di pane e prodotti da forno. In questa sede passeremo in rassegna due tipologie di lieviti molto comuni: il lievito naturale ed il lievito commerciale per panificazione (lievito di birra).
Il lievito naturale
Tutti pazzi per il lievito!
Indicato con vari sinonimi quali impasto acido o lievito madre (sourdough), la preparazione del lievito naturale origina da un impasto di acqua e farina, che viene lasciato fermentare spontaneamente, e da una serie di “rinfreschi” successivi (termine con il quale si indica il processo di mantenimento del lievito madre) che consistono nell’aggiunta periodica di acqua e farina (ed eventualmente anche di sale e zuccheri).
Mediante questo procedimento, l’impasto acquisisce nel tempo una capacità acidificante (data dai batteri lattici) e lievitante costante. Il lievito così ottenuto si indica, generalmente, con il termine di “lievito madre” o “capolievito” e costituisce la base di partenza per ottenere, sempre mediante rinfreschi successivi, il “lievito naturale maturo” che rappresenta il vero agente lievitante per la panificazione.
Da questa definizione si può evincere l’aspetto fondamentale che caratterizza un lievito naturale: la presenza di una miscela di batteri lattici e lieviti. Mentre i primi sono ritenuti principalmente responsabili del processo di acidificazione dell’impasto, essenziale per garantire una maggiore conservabilità al prodotto, i lieviti giocano invece un ruolo fondamentale per la capacità lievitante legata alla produzione di CO2.
Questo lievito, considerato il primo agente lievitante storicamente usato in panificazione, sta attirando sempre più l’interesse anche da parte delle grandi industrie per le peculiari caratteristiche reologiche (che definiscono la deformazione e la viscosità degli impasti), sensoriali, nutrizionali, e di accresciuta conservabilità che è in grado di conferire ai prodotti lievitati che ne derivano, rispetto quelli ottenuti mediante lievito di birra.
Il lievito naturale essiccato
Lo sviluppo di recenti biotecnologie ha consentito l’impiego di lievito naturale essiccato come agente lievitante.
Questo prodotto riesce a conferire sapore e odore caratteristici dei prodotti a lievitazione naturale, garantendo una maggiore praticità di utilizzo rispetto al lievito fresco (non richiede i rinfreschi) e presentando una maggiore conservabilità (ca. 30-60 gg) a temperatura ambiente.
Per la produzione di questo tipo di lievito naturale è possibile ricorrere all’impiego di materie prime diverse (grano tenero, grano duro, segale o altri tipi di cereali), le quali sono scelte in relazione alle specifiche caratteristiche chimiche, nutrizionali e sensoriali che si intende ottenere.
Trattandosi di un prodotto disidratato, questo ha perso il suo potere fermentativo e necessita quindi dell’aggiunta di lievito di birra per essere “risvegliato” e consentire quindi un’adeguata lievitazione dell’impasto. Infatti, controllando la lista degli ingredienti di alcuni prodotti in commercio (ad es. pane a fette), è piuttosto comune trovare riportato sia il lievito naturale che il lievito di birra.
Il lievito commerciale per panificazione
Tutti pazzi per il lievito!
Il lievito per panificazione (Saccharomyces cerevisiae) è disponibile sotto forma di diversi preparati commerciali, che si differenziano per contenuto d’acqua, durata e temperatura di conservazione.
Vediamone di seguito le principali differenze:
- Crema di lievito: si tratta sostanzialmente di una miscela eterogenea di cellule di lievito vive, caratterizzata da un’umidità non superiore all’80%. L’uso primario è relativo alla produzione di pane industriale. La temperatura di conservazione è compresa tra 1 e 4 °C e il tempo di conservazione varia tra 10 e 14 giorni.
- Lievito compresso: tipicamente venduto in panetti da 25 g, è costituito da cellule in massima parte vive e ha un’umidità non superiore al 75% (generalmente compresa tra 55-70%). La temperatura di conservazione è compresa tra 2 e 7 °C e il tempo di conservazione varia tra 21 e 28 giorni.
- Lievito secco attivo: si basa sulla preparazione di cellule in forma dormiente disidratata. Tali preparazioni contengono un’umidità del 5-8% e sono ottenute dal lievito in pasta pressato (70% di umidità) con diverse procedure di disidratazione. Tali preparati possono essere conservati per 3-12 mesi a temperatura ambiente e devono essere reidratati a 30-43 °C per 10-15 minuti prima dell’uso.
- Lievito istantaneo: la sua preparazione è simile a quella del lievito secco attivo, ma è caratterizzata da granuli più piccoli e da un maggiore contenuto di cellule vive per grammo di prodotto. Presenta una minore conservabilità rispetto al lievito secco attivo, ma non richiede idratazione prima dell’uso, e questo è il suo più grande vantaggio. Le preparazioni commerciali sono conservate a temperatura ambiente, talvolta in atmosfera modificata, per 6-12 mesi.
Lievito naturale vs lievito di birra: tiriamo le somme
Come abbiamo visto, nonostante la parola “lievito” figuri in entrambe le denominazioni, si tratta di due tipologie di prodotto piuttosto diverse tra loro. Tale differenza è evidente nel processo produttivo ma si concretizza tanto più nel prodotto finito.
Per fare un esempio, basta prendere a riferimento il pane di Altamura rispetto a un pane tradizionale.
La lievitazione naturale nel primo si traduce, infatti, in una crosta più scura e spessa; gli alveoli (buchi) si presentano irregolari e più allungati. Inoltre, grazie alla fermentazione dei batteri lattici che “predigeriscono” la farina, si ottiene una migliore profumazione e maggiore digeribilità del prodotto. Infine, la capacità acidificante del lievito madre conferisce al prodotto una maggiore conservabilità.
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